Avevamo salutato la restituzione della terra del Monastero di Dečani come l’epilogo di brutta storia di ordinaria inciviltà durata 24 anni, nonostante il pronunciamento dell’Alta Corte di Pristina. Poteva essere un segno di novità, di maggior attenzione ai diritti delle minoranze, ci eravamo sbagliati, è stato un fuoco di paglia.
Oggi le autorità kosovare hanno vietato al Patriarca serbo Porfirije e ai vescovi che lo accompagnavano di entrare in Kosovo e Metohija per partecipare con altri vescovi alla Divina Liturgia nel Patriarcato di Peć con relativa cerimonia di apertura dell'assemblea dei vescovi della Chiesa ortodossa serba di quest'anno.
Purtroppo, questa non è la prima volta che al Patriarca Porfirije viene negato l’ingresso e viene ostacolata la sua visita al Patriarcato di Peć, antica sede storica della Chiesa ortodossa e dimora avita degli arcivescovi e patriarchi serbi.
I diritti religiosi e le libertà civili di cui il popolo delle enclavi e la Chiesa in Kosovo e Metohija, hanno bisogno sono diritti universali attesi in qualsiasi società che desideri basarsi sullo stato di diritto. L’ostacolo alla libertà di riunione religiosa, la mancanza di libertà di movimento per i dignitari religiosi e il loro diritto al lavoro pastorale evidenziano in quale stato di alterazione del diritto basico civile e religioso, sia confinato il popolo serbo in Kosmet.
Un uomo di Dio, che predica pace e tolleranza, viene fermato alla frontiera, mentre chi semina bugie, intolleranza e violenza ha libertà di espressione in virtù del primitivo diritto della forza senza ragione.
È bene che di tutto questo facciano tesoro le diplomazie europee, quando spingono per l’adesione del Kosovo a qualsivoglia istituzione transnazionale o comunitaria, continuando così si finirà a contare i morti