KAko SI?

Gde si Jovanka, kako si?. La traduzione è abbastanza libera e suona più o meno: Jovanka, dove sei, come stai? La risposta è sempre la stessa, Dobro, bene.
Perchè Jovanka è fatta così (leggi la sua storia qui) una donna forte, determinata, che sfida il proprio destino con un sorriso e per il futuro, confida nell’Eterno.

Proprio in questi giorni, Jovanka sta lottando all’ospedale di Mitrovica nord, per portare a termine la propria gravidanza. Settimo mese, condizioni dure a causa della malattia, immobile a letto, con l’utero dilatato, vuole questa bambina con la determinazione delle madri che amano i figli già dentro i loro ventri, senza nemmeno aspettare che nascano.

Non doveva essere questa la storia, l’avevamo costruita differentemente, grazie all’aiuto degli zii di Jovan (guardali), alla generosità senza fondo di Luca, Barbara, Alvise, Nadine, al cuore immenso e generoso di Daniela e Roberto a Bologna, doveva essere una storia più tranquilla, visite di controllo in Italia, un parto sicuro e sereno.

Però la malattia è una brutta cosa, non ti permette di pianificare, ti sorprende al’improvviso, anche se hai già in tasca i visti per l’Italia.

Seguiamo costantemente la nostra amica Jovanka, ostaggio di un ospedale che è l’emblema di tutti i mali di Kosovo e Metohija: senza aiuti da Belgrado, senza i soldi di Pristina.

Una struttura da quarto mondo, dove tutto si affronta con quello che c’è, o meglio con quello che non c’è. Niente medicine, riscaldamento, pulizia, decoro, uno strano edificio alla deriva, ascensori senza porte, cicche sui davanzali.

Qui la nostra Jovanka dovrà trascorrere quarantacinque giorni, quelli che la separano dal parto.
Il nostro cuore si fa piccolo, tanto quanto cresce l’ammirazione per tutti quei dottori e infermiere che si prodigano nelle cure, con un impegno che è già missione.

Oggi, Jovanka era serena, nonostante il gonfiore enorme del viso, il pallore, le medicine.
Aveva voglia di ridere, alzandosi due minuti dal letto, trascinando con sè l’asta per la fleboclisi, alla quale deve stare attaccata ventiquattrore al giorno.

“E questo chi è? – le ho chiesto, riferendomi all’inseparabile asta – il tuo nuovo boy friend? Almeno è più magro di tuo marito…”
Le ho strappato un sorriso, quello della foto, prima che si ritirasse, di nuovo a letto, con una mega confezione di Toblerone, di cui va ghiotta.

Jovanka pensa a tutti i suoi amici italiani, alla comunità serba di Milano, li saluta con affetto, lo stesso che in questi giorni si riversa nelle decine di messaggi che arrivano e che con scrupolo inoltriamo, a quest’eroina serba, di Kosovo.